lunedì 10 ottobre 2011

Omosessualità a Palermo: un caso di violenza bilaterale


Pur avendo cercato di aprirsi alla modernità, Palermo, deve ancora sconfiggere delle barriere culturali che la rendono sottosviluppata. Una di queste riguarda il rapporto con l’omosessualità, che non viene compresa né accettata dalla maggior parte della popolazione. Più spesso interpretata come malattia o degenerazione, l’omosessualità spesso diventa motivo di violenza gratuita. La nostra costituzione dice che non dovrebbe esserci alcuna discriminazione, eppure la realtà di fatto non è questa. Oltre a problematiche più generali, come la possibilità di sposarsi o avere dei figli gli omosessuali devono affrontare lotte quotidiane per affermare la loro esistenza. il loro diritto a esistere. Sono costretti a nascondersi o chiudersi in ghetti, ‘zone’ a loro riservate, locali con serate organizzate. Non hanno diritto a esprimere la loro sessualità, tenersi per mano o darsi un bacio innocente sono attività a loro precluse senza ricevere di rimando sdegno o, nel caso di due donne omosessuali, proposte indecenti del tipo menage à trois. Se l’omosessualità maschile spesso provoca sdegno e paura, quella femminile non viene neanche accettata come reale. Film pornografici vengono in mente ai più quando si parla di donne gay. Così gli omosessuali vengono sentiti e, di contro, si sentono diversi, tendono a chiudersi in sé stessi e, a volte, può capitare che anche loro possano arrivare alla violenza per rispondere ad un'altra.
Il caso che vogliamo raccontare è avvenuto qualche anno fa però, purtroppo, rispecchia qualcosa che è ancora attuale. Un pub in zona arenella, Villa Costanza, stava organizzando una di queste serate gay organizzate dagli stessi. A un certo punto un ragazzo si avvicina a un tavolo con una decina di ragazze e comincia a insultarle violentemente. Una ragazza si alza e quello, con una bottiglia tagliata tra le mani, le graffia il volto fino a farle uscire sangue. Un’amica della ragazza ferita si alza anch’essa e il ragazzo la colpisce di nuovo sul viso. Mancavano quella serata i buttafuori che avrebbero dovuto cacciare il ragazzo. Invece i proprietari del locale, non avendo assistito alla scena, cacciano sia le ragazze che l’aggressore. Viene chiamata la polizia, ma la rabbia delle ragazze non si era placata. Incominciano a picchiare violentemente il ragazzo il quale si ritrova alla fine della contesa pieno di ferite insanguinate. Quelle ragazze avevano perso la ragione e sfogavano la rabbia, accumulata in tanti anni di soprusi, con altra violenza.
È difficile in questo caso stabilire a chi dare la colpa dell’accaduto, perché troppi sono i colpevoli. Il comportamento dell’aggressore prima e delle ragazze dopo è sicuramente riprovevole, non ha giustificazione. Si può comprendere però, il ragazzo si è sentito autorizzato ad aggredire le ragazze da una società che non è in grado di accettare e comprendere l’omosessualità come fatto normale. Alla persecuzione ai gay, come ai ‘diversi’ in generale, non si è ancora dato il giusto peso, non è sentita la gravità dell’azione. Si deve forse aspettare un olocausto per farlo?
Le strade da percorrere per sedare questo genere di conflitto sono due, una relativa all’immediato dopo conflitto, quindi all’ hic et nunc, e l’altra relativa all’abolizione dei motivi stessi del conflitto ab origine. Rispetto alla prima riteniamo che sia insufficiente il semplice allontanamento dal locale di quanti disturbano la quiete del luogo. Non è una soluzione ma è solo un atteggiamento che tradisce un egoismo e un’indifferenza di fondo, infatti, questo provvedimento si innesca esclusivamente per evitare danni al locale e per non turbare i clienti che, in caso contrario, non tornerebbero più nel locale. Quante volte si sentono i buttafuori o i proprietari pronunciare frasi come “Fuori vi potete scannare ma dentro il mio locale no”.
È, in un secondo momento, sintomo di un’ indifferenza collettiva, il pensiero comune risulta: “se il conflitto non lo vedo non esiste, se tra noi e le persone lì fuori c’è solo una porta a dividerci questo a me basta”. No, non basta, e non basta allontanare queste persone, occorre lanciarsi in prima linea cercando di mediare tra i litiganti attraverso il dialogo e l’ascolto per poter placare gli animi. Lo riconosciamo, non è un metodo sempre applicabile e risolutivo ma, forse, una delle motivazioni per cui l’odio trova dentro di noi un terreno fertile dove attecchire, è da attribuire ad una mancanza di ascolto e di amore da parte di chi ci sta accanto.
Per questo l’allontanamento di questi soggetti non è consigliabile; diamogli modo di avere uno spazio in cui subentri il dialogo e quindi la riflessione, la ragione; capirebbero da soli che non c’è giustificazione né un motivo per la violenza esercitata. Facciamo sentire loro che appartengono ad una società in cui la diversità non dovrebbe avere un’accezione negativa, non è un pericolo né un ostacolo ma è da intendere come sinonimo di risorsa.
La seconda soluzione, quella protesa alla soluzione del problema ab origine, mira alla formazione di una società non-violenta ad opera di persone che accettino e condividano il pensiero non-violento. Per auspicarci ciò è necessario partire dagli agenti di questa costruzione; i bambini e i ragazzi. La loro deve essere un’educazione alla diversità, ci indirizziamo verso i bambini e i ragazzi perché la fase della scolarizzazione coincide con quella in cui le menti si formano. A questa età i bambini e i giovani sono pronti a leggere la diversità come risorsa, così che la tolleranza, l’amore verso il prossimo e il rispetto si possano sedimentare meglio in loro. D’altronde la violenza è anche frutto d’ignoranza, di preconcetti, di retaggi culturali e di poca dimestichezza con determinati argomenti.
Ma da dove cominciare? Bisogna partire da modelli e da fatti concreti per evitare che la “non- violenza” rimanga un concetto astratto, bisogna spiegare realmente a cosa porta la violenza e cosa può evitare il rifuggire da essa.
Occorre far familiarizzare le generazioni più giovani con testi come la nostra Costituzione e la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani non limitandosi alla sterile enunciazione degli articoli. Occorre leggere, spiegare, motivare, argomentare, far prendere colore alle parole degli articoli senza trascurare l’impulso che è stato alla base della loro formulazione partendo proprio dalla data di quest’ultima, 1947-48 per entrambi i documenti.
È necessario sottolineare da cosa sono scaturite, cosa fosse l’Europa negli anni precedenti, quale buio e quale vergogna avevano attivato l’esigenza di annullare la violenza per poter rinascere e produrre cose belle e utili alla società. La Costituzione o la Dichiarazione dei Diritti Umani , sono nate da una mediazione e armonizzazione tra persone che, seppure ideologicamente diverse, si sono unite per far sì che non si creassero più spirali d’odio.
Occorre far conoscere le azioni di uomini come Gandhi, Martin Luther King ma soprattutto di quelle persone che operano concretamente nel nostro territorio. Questi sono grandi uomini facilmente accessibili e concretamente vicini a noi, uomini in cui i bambini e i ragazzi si possono rispecchiare e da cui possono prendere esempio osservando. Infatti solo osservando con i propri occhi l’atteggiamento di chi si spende e di chi si mette in prima fila, potranno comprendere l’importanza di spezzare la catena d’odio attraverso l’amore e la solidarietà.
Occorre infine che le qualità non si raccontino solamente ma che si instillino negli animi anche con azioni concrete perché il rispetto, l’amore, l’onestà e la correttezza devono essere cercate esclusivamente negli uomini per essere spese successivamente nella costruzione di una società , di una istituzione, di un sistema.




Ricerca a cura di Giovanna Ciaccio, Eleonora Leto, H.R.Y.O. – Human Rights Youth Organization




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