Pur
avendo cercato di aprirsi alla modernità, Palermo, deve ancora
sconfiggere delle barriere culturali che la rendono sottosviluppata.
Una di queste riguarda il rapporto con l’omosessualità, che non
viene compresa né accettata dalla maggior parte della popolazione.
Più spesso interpretata come malattia o degenerazione,
l’omosessualità spesso diventa motivo di violenza gratuita. La
nostra costituzione dice che non dovrebbe esserci alcuna
discriminazione, eppure la realtà di fatto non è questa. Oltre a
problematiche più generali, come la possibilità di sposarsi o avere
dei figli gli omosessuali devono affrontare lotte quotidiane per
affermare la loro esistenza. il loro diritto a esistere. Sono
costretti a nascondersi o chiudersi in ghetti, ‘zone’ a loro
riservate, locali con serate organizzate. Non hanno diritto a
esprimere la loro sessualità, tenersi per mano o darsi un bacio
innocente sono attività a loro precluse senza ricevere di rimando
sdegno o, nel caso di due donne omosessuali, proposte indecenti del
tipo menage à trois. Se l’omosessualità maschile spesso provoca
sdegno e paura, quella femminile non viene neanche accettata come
reale. Film pornografici vengono in mente ai più quando si parla di
donne gay. Così gli omosessuali vengono sentiti e, di contro, si
sentono diversi, tendono a chiudersi in sé stessi e, a volte, può
capitare che anche loro possano arrivare alla violenza per rispondere
ad un'altra.
Il
caso che vogliamo raccontare è avvenuto qualche anno fa però,
purtroppo, rispecchia qualcosa che è ancora attuale. Un pub in zona
arenella, Villa Costanza, stava organizzando una di queste serate gay
organizzate dagli stessi. A un certo punto un ragazzo si avvicina a
un tavolo con una decina di ragazze e comincia a insultarle
violentemente. Una ragazza si alza e quello, con una bottiglia
tagliata tra le mani, le graffia il volto fino a farle uscire sangue.
Un’amica della ragazza ferita si alza anch’essa e il ragazzo la
colpisce di nuovo sul viso. Mancavano quella serata i buttafuori che
avrebbero dovuto cacciare il ragazzo. Invece i proprietari del
locale, non avendo assistito alla scena, cacciano sia le ragazze che
l’aggressore. Viene chiamata la polizia, ma la rabbia delle ragazze
non si era placata. Incominciano a picchiare violentemente il ragazzo
il quale si ritrova alla fine della contesa pieno di ferite
insanguinate. Quelle ragazze avevano perso la ragione e sfogavano la
rabbia, accumulata in tanti anni di soprusi, con altra violenza.
È
difficile in questo caso stabilire a chi dare la colpa dell’accaduto,
perché troppi sono i colpevoli. Il comportamento dell’aggressore
prima e delle ragazze dopo è sicuramente riprovevole, non ha
giustificazione. Si può comprendere però, il ragazzo si è sentito
autorizzato ad aggredire le ragazze da una società che non è in
grado di accettare e comprendere l’omosessualità come fatto
normale. Alla persecuzione ai gay, come ai ‘diversi’ in generale,
non si è ancora dato il giusto peso, non è sentita la gravità
dell’azione. Si deve forse aspettare un olocausto per farlo?
Le
strade da percorrere per sedare questo genere di conflitto sono due,
una relativa all’immediato dopo conflitto, quindi all’ hic et
nunc, e l’altra relativa all’abolizione dei motivi stessi del
conflitto ab origine. Rispetto alla prima riteniamo che sia
insufficiente il semplice allontanamento dal locale di quanti
disturbano la quiete del luogo. Non è una soluzione ma è solo un
atteggiamento che tradisce un egoismo e un’indifferenza di fondo,
infatti, questo provvedimento si innesca esclusivamente per evitare
danni al locale e per non turbare i clienti che, in caso contrario,
non tornerebbero più nel locale. Quante volte si sentono i
buttafuori o i proprietari pronunciare frasi come “Fuori vi potete
scannare ma dentro il mio locale no”.
È,
in un secondo momento, sintomo di un’ indifferenza collettiva, il
pensiero comune risulta: “se il conflitto non lo vedo non esiste,
se tra noi e le persone lì fuori c’è solo una porta a dividerci
questo a me basta”. No, non basta, e non basta allontanare queste
persone, occorre lanciarsi in prima linea cercando di mediare tra i
litiganti attraverso il dialogo e l’ascolto per poter placare gli
animi. Lo riconosciamo, non è un metodo sempre applicabile e
risolutivo ma, forse, una delle motivazioni per cui l’odio trova
dentro di noi un terreno fertile dove attecchire, è da attribuire ad
una mancanza di ascolto e di amore da parte di chi ci sta accanto.
Per
questo l’allontanamento di questi soggetti non è consigliabile;
diamogli modo di avere uno spazio in cui subentri il dialogo e quindi
la riflessione, la ragione; capirebbero da soli che non c’è
giustificazione né un motivo per la violenza esercitata. Facciamo
sentire loro che appartengono ad una società in cui la diversità
non dovrebbe avere un’accezione negativa, non è un pericolo né un
ostacolo ma è da intendere come sinonimo di risorsa.
La
seconda soluzione, quella protesa alla soluzione del problema ab
origine, mira alla formazione di una società non-violenta ad opera
di persone che accettino e condividano il pensiero non-violento. Per
auspicarci ciò è necessario partire dagli agenti di questa
costruzione; i bambini e i ragazzi. La loro deve essere un’educazione
alla diversità, ci indirizziamo verso i bambini e i ragazzi perché
la fase della scolarizzazione coincide con quella in cui le menti si
formano. A questa età i bambini e i giovani sono pronti a leggere la
diversità come risorsa, così che la tolleranza, l’amore verso il
prossimo e il rispetto si possano sedimentare meglio in loro.
D’altronde la violenza è anche frutto d’ignoranza, di
preconcetti, di retaggi culturali e di poca dimestichezza con
determinati argomenti.
Ma
da dove cominciare? Bisogna partire da modelli e da fatti concreti
per evitare che la “non- violenza” rimanga un concetto astratto,
bisogna spiegare realmente a cosa porta la violenza e cosa può
evitare il rifuggire da essa.
Occorre
far familiarizzare le generazioni più giovani con testi come la
nostra Costituzione e la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani
non limitandosi alla sterile enunciazione degli articoli. Occorre
leggere, spiegare, motivare, argomentare, far prendere colore alle
parole degli articoli senza trascurare l’impulso che è stato alla
base della loro formulazione partendo proprio dalla data di
quest’ultima, 1947-48 per entrambi i documenti.
È
necessario sottolineare da cosa sono scaturite, cosa fosse l’Europa
negli anni precedenti, quale buio e quale vergogna avevano attivato
l’esigenza di annullare la violenza per poter rinascere e produrre
cose belle e utili alla società. La Costituzione o la Dichiarazione
dei Diritti Umani , sono nate da una mediazione e armonizzazione tra
persone che, seppure ideologicamente diverse, si sono unite per far
sì che non si creassero più spirali d’odio.
Occorre
far conoscere le azioni di uomini come Gandhi, Martin Luther King ma
soprattutto di quelle persone che operano concretamente nel nostro
territorio. Questi sono grandi uomini facilmente accessibili e
concretamente vicini a noi, uomini in cui i bambini e i ragazzi si
possono rispecchiare e da cui possono prendere esempio osservando.
Infatti solo osservando con i propri occhi l’atteggiamento di chi
si spende e di chi si mette in prima fila, potranno comprendere
l’importanza di spezzare la catena d’odio attraverso l’amore e
la solidarietà.
Occorre
infine che le qualità non si raccontino solamente ma che si
instillino negli animi anche con azioni concrete perché il rispetto,
l’amore, l’onestà e la correttezza devono essere cercate
esclusivamente negli uomini per essere spese successivamente nella
costruzione di una società , di una istituzione, di un sistema.
Ricerca
a cura di Giovanna Ciaccio, Eleonora Leto, H.R.Y.O. – Human Rights
Youth Organization
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