Da
un punto di vista meramente tecnico i diritti umani sono una branca
del diritto. Quello che è importante sottolineare in questa sede è
che questo insieme di assiomi conosciuti come diritti umani sono una
costante nelle varie civiltà umane, seppur con diversa forma.
Riscoprirne l’importanza è prima di tutto un modo per accostarsi a
quella prospettiva archetipica che vede l’essere umano come un
essere naturale prima ancora che una persona giuridica. Tra i diritti
fondamentali dell'essere umano si possono ricordare il diritto alla
libertà
individuale,
il diritto
alla vita,
il diritto
all'autodeterminazione,
il diritto a un
giusto processo,
il diritto ad un'esistenza
dignitosa,
il diritto alla libertà
religiosa
con il conseguente diritto a cambiare
la propria religione,
oltre che, di recente tipizzazione normativa, il diritto alla
protezione
dei propri dati personali
(privacy). Ricordarsi di preservare questi diritti vuol dire
preservare una visione nobile dell’essere umano.
Cenni
storici
Il
re di Ur
creò
ciò
che si suppone sia il primo codice legale all'incirca nell’anno
2050 a.C. Numerosi altri corpi legislativi furono creati in
Mesopotamia incluso il Codice di Hammurabi, (ca. 1780 a.C.) che è
uno degli esempi meglio preservati di questo tipo di documento. Esso
mostrava le leggi e le punizioni conseguenti all’infrazione delle
leggi su una vasta quantità di problemi incluso diritti delle donne,
diritti dei bambini e diritti degli schiavi. La nozione di diritti
minimi connessi alla sola qualità di essere umano, i cosiddetti
diritti naturali, è molto antica e anche molto generica. Quello che
caratterizza l’idea di
diritti
dell’uomo è il fatto di inscriverli esplicitamente nel diritto
(orale o scritto), di riconoscere loro un’applicazione universale e
una forza superiore ad ogni altra norma. Si passa allora spesso
attraverso una forma di proclamazione piuttosto che attraverso
l’ordinaria emanazione di norme legali; i termini utilizzati sono
quelli di un’evidenza preesistente e indiscutibile che si scopre e
si riconosce, piuttosto che di una semplice convenzione discutibile.
L’unanimità è implicitamente convocata come fonte della
legittimità di questi diritti. Anche se possiamo ritrovare dei
riferimenti al divino o delle influenze religiose, essi si
distinguono da una regola religiosa attraverso il loro carattere
universale e laico.
Tra
i primi ad affrontare il tema da un punto di vista speculativo, sono
forse i filosofi greci, in particolare Aristotele e gli stoici, che
affermano l'esistenza di un diritto naturale, cioè di un insieme di
norme di comportamento la cui essenza l'uomo ricava dallo studio
delle leggi naturali. Questo pensiero, detto giusnaturalismo, ha
origini antichissime, e di sovente viene suddiviso in vari tronconi
storici. Il giusnaturalismo antico è riassumibile nel pensiero del
grande filosofo greco espresso nella sua Etica Nicomachea:
« Del
giusto civile una parte è di origine naturale, un 'altra si fonda
sulla legge. Naturale è quel giusto che mantiene ovunque lo stesso
effetto e non dipende dal fatto che a uno sembra buono oppure no;
fondato sulla legge è quello, invece, di cui non importa nulla se le
sue origin sian tali o talaltre, bensì
importa com'esso sia, una volta che sia sancito »
(Aristotele)
Nella
pratica il concetto di diritti dell’uomo viene affrontato
storicamente per la prima volta nel VI secolo a.C. da Ciro il Grande,
sovrano dell'Impero Persiano (attuale Iran). Dopo la conquista di
Babilonia (attuale Iraq) nel 539 a.C., il re fa emanare il testo
scolpito sul "cilindro di Ciro", rinvenuto nel 1879 tra le
rovine di Babilonia e conservato al British
Museum
a Londra. Questo documento è correntemente menzionato come la "prima
carta dei diritti dell’uomo" poiché esprime rispetto per
l’uomo in quanto tale e promuove una forma elementare di libertà e
tolleranza religiosa. Esso afferma:
« Io
sono Ciro, re del mondo, gran re, re legittimo, re di Babilonia, re
di Sumer e Akkad, re delle quattro estremità (della terra), figlio
di Cambise, gran re, re di Anzan, nipote di Ciro, gran re, re di
Anshan, discendente di Teispe, gran re, re di Anshan, di una famiglia
(che) ha sempre regnato. Non permetto a nessuno di spargere terrore
nel Paese di Sumer e Akkad. Voglio fermamente la pace a Babilonia e
in tutte le sue sacre città. Per gli abitanti di Babilonia (…) io
abolisco i lavori forzati [...] Da Ninive, Assur e Susa, Akkad,
Eshnunna, Zamban, Me-Turnu e Der fino alla regione di Gutium,
restituisco a queste sacre città dall'altro lato del Tigri i templi
di cui è stata fatta rovina per lungo tempo, le immagini che una
volta vi erano conservate e stabilisco che essi siano i loro templi.
Ho anche radunato gli abitanti di queste regioni e ho restituito loro
le case che avevano. »
Ciro
quindi dichiarava in sostanza che i cittadini dell'Impero erano
liberi di manifestare il loro credo religioso e, inoltre, aboliva la
schiavitù permettendo il ritorno dei popoli deportati nelle terre
d’origine,
dalla qual cosa derivò
anche la biblica fine della cattività babilonese per il popolo di
Israele.
Nella
Roma antica esisteva la nozione di diritto di cittadinanza che era in
sostanza un insieme di diritti riservati a tutti i cittadini romani.
Nel
III secolo a.C., durante il regno di Asoka
il Grande sull’Impero Maurya (oggi India), furono stabiliti diritti
civili senza precedenti. Dopo la sanguinosa conquista del regno di
Kalinga, circa nel 265 a.C., Asoka si pentì degli atti commessi in
guerra e si convertì al Buddhismo. Da allora colui che era stato
prima descritto come "il crudele Asoka" fu conosciuto come
"il pio Asoka". Durante il suo regno egli perseguì
una politica di nonviolenza (ahimsa) e rispetto per la vita animale
(ad esempio forme di uccisione o mutilazione non necessaria di
animali, come la caccia per divertimento e i sacrifici a carattere
religioso o la castrazione, furono immediatamente abolite). Egli
trattò
i suoi sudditi come uguali a prescindere dalla loro religione, casta
o attività politica, costruì ospedali e università offrendone i
servizi gratuitamente a tutti i cittadini, definì
i principi di non-violenza, tolleranza religiosa, obbedienza verso i
genitori, rispetto verso gli insegnanti e i preti, umanità verso i
servi (la schiavitù non esisteva in India a quei tempi), generosità
verso il prossimo, benevolenza verso i colpevoli. Tutte queste
riforme sono descritte negli Editti di Asoka, una collezione di 33
iscrizioni sui cosiddetti Pilastri di Asoka.
In
tutte le società antiche i principi dei diritti umani sono stati
fissati nei testi religiosi. I Veda induisti, il Tanàkh ebraico, la
Bibbia cristiana, il Corano islamico e gli Analecta confuciani sono
tra gli scritti più antichi che affrontino la questione dei diritti
e doveri dell’uomo e delle sue responsabilità. Nel caso della
società cinese al tempo di Confucio (551-479 a.C.), è indubbio che
non fossero rispettati nemmeno i fondamentali diritti umani poiché
non esisteva l’idea di diritti naturali inalienabili dei quali ogni
uomo gode fin dalla nascita; i diritti erano accordati solo in
riguardo della posizione e del ruolo dell’individuo nella società
(cf. scritti di Hans-Georg Müller, Brock University, Canada).
Bisogna
arrivare al Medioevo per trovare le prime manifestazioni concrete con
effetto pratico dell’idea di diritti dell’uomo.
Nel
XIII secolo il giusnaturalismo scolastico, che ha avuto come suo
massimo esponente un altro grandissimo filosofo, San Tommaso
d'Aquino, descrive i diritti naturali come un "insieme di primi
principi etici, generalissimi" che condizionano il legislatore
nel diritto positivo, in quanto sigillo di Dio nella creazione delle
cose. I diritti umani quindi non sono più un insieme di cose più o
meno benevolmente concesse da qualche autorità. E’ diritto
dell'uomo rivendicare la propria libertà quale suo diritto naturale.
Nel
1215 il re d’Inghilterra John Lackland (Giovanni Senzaterra) fu
costretto dai baroni del regno e dal Papa a concedere, firmandola, la
Magna Charta Libertatum (Carta delle libertà). Essa rappresenta il
primo documento fondamentale per la concessione di diritti ai
cittadini perché impone al re il rispetto di alcune procedure,
limitando la sua volontà sovrana per legge. Tra gli articoli della
Magna Carta ricordiamo il divieto per il Sovrano di imporre nuove
tasse senza il previo consenso del Parlamento (no taxation without
representation) e la garanzia per tutti gli uomini di non poter
essere imprigionati senza prima aver sostenuto un regolare processo
(due process of law), riducendo inoltre l'arbitrarietà del re in
termini di arresto preventivo e detenzione. Benché la Magna Carta
nel corso dei secoli sia stata ripetutamente modificata da leggi
ordinarie emanate dal Parlamento, conserva tuttora lo status di Carta
fondamentale dello monarchia britannica.
Alla
fine dell’anno 1222, il giorno dell’incoronazione di Sundjata
Keïta quale sovrano dell’Impero del Mali, fu solennemente
proclamata e tramandata oralmente la Carta Manden, una dichiarazione
di diritti umani essenziali quali il diritto alla vita e il diritto
alla libertà. La Carta Manden si rivolge ai "quattro angoli del
mondo" con sette affermazioni:
- « ogni vita è una vita »
- « il torto richiede una riparazione »
- « aiutatevi reciprocamente »
- « veglia sulla patria »
- « combatti la servitù e la fame »
- « che cessino i tormenti della guerra »
- « chiunque è libero di dire, di fare e di vedere »
Si
trovano in questa carta i temi che saranno trattati vari secoli dopo
in Occidente nelle dichiarazioni dei diritti umani: il rispetto della
vita umana e della libertà dell’individuo, la giustizia e
l’equità, la solidarietà. Prendendo posizione contro la
schiavitù, divenuta corrente in Africa occidentale, la carta
identifica la violenza delle cause come precedente la violenza della
guerra. L’abolizione della schiavitù fu probabilmente il grande
merito di Sundjata Keïta. La Carta Manden può
probabilmente essere considerata come una delle prime dichiarazioni
dei diritti dell’uomo.
Fin
dal 1305 in Inghilterra, sotto il regno di Edoardo I, per quanto
anche anteriormente a tale data fossero stati emessi writs (mandati)
di contenuto analogo, si diffonderà l’uso dell’Habeas corpus, un
writ che impone la conduzione di un suddito imprigionato di fronte ad
un tribunale per un giusto processo, o la scarcerazione in
alternativa. Con l'emissione del writ di Habeas corpus una corte
reale poteva ordinare a qualsiasi altra giurisdizione la consegna del
prigioniero garantendolo dall'arbitrio signoriale. L'importanza di
questo atto legale può
essere compresa se si considera che nel diritto inglese originario
ogni suddito poteva essere soggetto a una pluralità di giurisdizioni
locali e signoriali, le quali tutte potevano disporre fisicamente del
soggetto. Il diritto di habeas corpus è stato a lungo celebrato come
il più efficiente atto di salvaguardia della libertà
dell’individuo. Dal corpus legislativo inglese l'Habeas corpus è
passato in tutte le costituzioni occidentali, fino ad approdare alla
Dichiarazione
Universale dei Diritti Umani
che all'Articolo 9 recita: Nessun
individuo potrà essere arbitrariamente arrestato, detenuto o
esiliato.
La
conquista spagnola delle Americhe a partire dal XV secolo e la
scoperta di popolazioni indigene, e le prime conseguenti pratiche di
deportazioni di individui di pelle nera dall’Africa verso il "Nuovo
Mondo", crearono un vigoroso dibattito sui diritti umani.
Francisco de Vitoria e altri filosofi della Scuola di Salamanca
enunciarono il concetto di diritto naturale relativamente al corpo
(diritto alla vita, alla proprietà) quanto allo spirito (diritto
alla libertà di pensiero, alla dignità). I teologi dell'università
di Salamanca furono tanto radicali da condannare qualsiasi forma di
guerra (con poche eccezioni) come una violazione dei diritti
naturali, opponendosi espressamente alle campagne di Carlo I.
La
dottrina giuridica della Scuola di Salamanca significò
la fine del concetto medievale del diritto marcata da una
rivendicazione di libertà inusuale per l'Europa dell'epoca. I
diritti naturali dell'uomo sono connessi alla natura stessa di essere
umano, quindi ovviamente se tutti gli uomini hanno la stessa natura
essi hanno anche gli stessi diritti di libertà e uguaglianza.
E’
da inscrivere in questo quadro lo scontro filosofico conosciuto come
Giunta di Valladolid (1550-1551) che vide contrapposte la teoria del
frate domenicano Bartolomeo de Las Casas a difesa della libertà
naturale degli indigeni americani e quella dell'umanista Juan Gines
de Sepulveda sostenitore della loro naturale schiavitù. Questi primi
dibattiti sull’argomento nella storia europea si manifestarono con
la bolla Sublimis Deus, attraverso la quale il papa Paolo III
dichiarò
l’umanità degli indigeni americani e il loro diritto alla libertà
e alla proprietà, condannando la pratica della schiavitù.
Las
Casas lottava dal 1512 per i diritti degli indigeni, quando era
cappellano dei conquistadores a Cuba sotto il comando di Diego
Velàzquez de Cuéllar. Più volte testimone e attore della
resistenza indigena alla penetrazione sanguinaria dei Conquistadores
e della cristianizzazione imposta "a ferro e fuoco", egli
aveva scritto la Brevisima o "breve relazione sulla distruzione
delle Indie" nella quale descriveva le crudeltà di cui erano
fatti oggetto gli indigeni. Il 26 gennaio 1542 Las Casas fu
presentato all’imperatore Carlo V, al quale riassunse il contenuto
della "Brevisima". Da questo incontro nacquero le "Leggi
nuove" del novembre 1542 che proclamavano:
- la libertà naturale degli indigeni e la messa in libertà degli schiavi
- la libertà del lavoro, che limita le corvée e abolisce la pesca delle perle
- la libertà di residenza e la libera proprietà dei beni, fino alla punizione di coloro che saranno violenti o aggressivi verso gli indigeni
- l’abolizione del sistema delle encomiendas, consistente nell'affidare a degli encomenderos spagnoli determinati territori abitati con, "in dotazione", un gruppo di indigeni, che dovevano essere colonizzati e cristianizzati, con libertà assoluta di governo.
Le
rivolte e l’anarchia che seguirono nelle colonie spagnole del Nuovo
Mondo portarono all’abrogazione di queste leggi in favore della
conquista indiscriminata.
Il
giusnaturalismo razionalistico moderno nacque tra il 1600 e il 1700,
divisibile in due filoni: quello dell'Illuminismo di fine '700 (con
l'affermazione del concetto di libertà dell'individuo, soprattutto
in opposizione all'assolutismo, la forma di governo caratteristica
dell'età moderna) e quello che si sviluppa a partire dal pensiero di
Thomas Hobbes (il quale per la verità considerava il diritto
naturale proprio solo allo stato di natura, ovvero alla condizione in
cui l'uomo si trova prima di stipulare quel contratto sociale che
porta all'istituzione dello stato; pertanto Hobbes non può ritenersi
autenticamente un giusnaturalista).
Fra
gli autori che, a vario titolo, hanno affrontato il tema del diritto
naturale in età moderna si possono quindi citare:
- Thomas Hobbes
- Huig de Groot (Ugo Grozio)
- John Locke
- Jean Jacques Rousseau
- Immanuel Kant
Secondo
la formulazione di Grozio e dei teorici razionalisti del
giusnaturalismo, gli uomini, pur in presenza dello stato e del
diritto positivo ovvero civile, restano titolari di alcuni diritti
naturali, quali il diritto alla vita, alla proprietà etc., diritti
inalienabili che non possono essere modificati dalle leggi. Questi
diritti naturali sono tali perché razionalmente giusti, ma non sono
istituiti per diritto divino; anzi, Dio li riconosce come diritti
proprio in quanto corrispondenti alla ragione.
Locke
sviluppò
invece il concetto di diritto naturale come derivato dalla divinità,
in quanto l’uomo è creazione di Dio, non limitando questo diritto
né al possesso della cittadinanza né a criteri di etnia, cultura o
religione.
La
prima dichiarazione dei diritti dell’uomo dell’epoca moderna è
quella dello Stato della Virginia (USA), scritta da George Mason e
adottata dalla Convenzione della Virginia il 12 giugno 1776. Questa
fu largamente copiata da Thomas Jefferson per la dichiarazione dei
diritti dell’uomo contenuta nella Dichiarazione di indipendenza
degli Stati Uniti d'America (4 luglio 1776) la quale afferma "che
tutti gli uomini sono creati uguali tra loro, che essi sono dotati
dal loro creatore di alcuni inalienabili diritti tra cui la vita, la
libertà e la ricerca della felicità".
Comunque
sia, la prima e vera propria carta formale dei diritti dell'uomo è
nata nel 1789 dalla Rivoluzione francese, è conosciuta come
Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino ed è
caratterizzata da un'impostazione più astratta della precedente
americana.
Fu
poi Napoleone Bonaparte a esportare il concetto di diritti umani
negli altri paesi d'Europa, anche se in realtà negandoli di fatto.
Pertanto, una vera e propria diffusione degli stessi si ebbe solo
dopo i moti del 1848 e la conseguente proclamazione delle prime
costituzioni liberali nei vari paesi europei.
Nel
corso del XX secolo in Europa occidentale e in America settentrionale
molti gruppi e movimenti riuscirono a ottenere profondi cambiamenti
sociali in nome dei diritti umani, creando un rapido miglioramento
delle condizioni di vita dei popoli cosiddetti occidentali. I
sindacati dei lavoratori lottarono per il riconoscimento del diritto
di sciopero, per garantire condizioni dignitose di lavoro e per
proibire o limitare il lavoro minorile. Il movimento per i diritti
delle donne guadagnò
il suffragio universale esteso alle donne. All'indomani della Prima
Guerra Mondiale fu messo in piedi un sistema di protezione delle
Minoranze nazionali di razza, di lingua e di religione, grazie al
quale molti gruppi lungamente oppressi riuscirono ad ottenere diritti
civili e politici.
Nello
stesso periodo i movimenti di liberazione nazionale poterono
affrancare le nazioni colonizzate dal giogo delle potenze coloniali.
Importantissimo in tema di diritti umani fu il movimento non violento
del Mahatma Gandhi
che portò
l’India all’indipendenza dal dominio britannico.
Un'ulteriore
grande affermazione dei diritti umani si ebbe dopo la fine della
Seconda guerra mondiale con la costituzione dell’Organizzazione
delle Nazioni Unite (ONU) e con la redazione della Dichiarazione
universale dei diritti dell'uomo, siglata a New York nel 1948. Con
questa Carta si stabiliva, per la prima volta nella storia moderna,
l'universalità di questi diritti, non più limitati unicamente ai
paesi occidentali, ma rivolti ai popoli del mondo intero, e basati su
un concetto di dignità umana intrinseca, inalienabile, ed
universale. La Dichiarazione riconosce tra le altre cose il diritto
alla vita, alla libertà e alla sicurezza personale; al
riconoscimento come persona e all'uguaglianza di fronte alla legge; a
garanzie specifiche nel processo penale; alla libertà di movimento e
di emigrazione; all'asilo; alla nazionalità; alla proprietà; alla
libertà di pensiero, di coscienza e di religione; alla libertà di
associazione, di opinione e di espressione; alla sicurezza sociale; a
lavorare in condizioni giuste e favorevoli e alla libertà sindacale;
a un livello adeguato di vita e di educazione.
Da
questo momento in poi il posto occupato dall’ONU nel processo di
legittimazione e promozione dei diritti dell’uomo è fondamentale.
Ma anche gli Stati membri del Consiglio d'Europa hanno fatto un
ulteriore passo avanti attraverso una convenzione per la salvaguardia
dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma
il 4 novembre 1950 ed entrata in vigore nel 1953. Tra le altre cose,
la convenzione stabilisce che il godimento dei diritti da essa
garantiti non è soggetto ad alcuna discriminazione fondata su
ragioni di razza, lingua, religione, opinione pubblica, origine
nazionale o sociale.
Da
allora la nozione di Diritti umani si è estesa grazie a leggi e
dispositivi che sono stati creati per sorvegliare e punire le
violazioni di questi diritti. Citiamo alcuni avvenimenti quali pietre
miliari di questo processo:
- 1966: adozione da parte dell’ONU del Trattato internazionale sui diritti economici, sociali e culturali e del Convenzione internazionale sui diritti civili e politici.
- 1967: creazione di meccanismi di inchiesta da parte della Commissione dell’ONU sulle violazioni dei diritti dell’uomo dei paesi membri.
- 1991: primo incontro internazionale delle istituzioni nazionali di promozione e protezione dei diritti dell’uomo organizzata dalla Commissione nazionale consultiva dei diritti dell’uomo a Parigi sotto la supervisione delle Nazioni Unite.
- 1993: adozione da parte dell’assemblea generale delle Nazioni Unite del Programma d’azione di Vienna, che accorda grande spazio alla democrazia ed allo sviluppo considerati come parte integrante dei diritti dell’uomo; il Programma chiama tutti gli stati membri a creare delle istituzioni nazionali che siano garanti dei diritti dell’uomo.
- 2006: creazione del Consiglio dei diritti dell'uomo dell’ONU al momento dell’adozione da parte dell’Assemblea generale della risoluzione A/RES/60/251, il 15/03/2006.
Esistenza,
validità e contenuti dei Diritti Umani continuano ad essere oggetto
di dibattito sia in filosofia che nell'ambito delle cosiddette
scienze politiche. Da un punto di vista giuridico, i Diritti Umani
vengono definiti da convenzioni e leggi internazionali, ma anche
dagli ordinamenti giuridici di numerose Nazioni. Va però
altresì
aggiunto che, secondo molti, la dottrina dei Diritti Umani va al di
là delle singole leggi e forma le basi morali fondamentali per
regolare l'ordine geo-politico.
Forse
con questi propositi l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite approvò
la Dichiarazione sul Diritto dei Popoli alla Pace con la risoluzione
39/11 del 12 novembre1984, iscrivendo così
la pace tra i diritti umani e dichiarandone la salvaguardia "un
obbligo fondamentale per ogni Stato".
Il
rapido progresso del rispetto dei diritti umani nelle nazioni
cosiddette occidentali non ha avuto per molte ragioni un processo
parallelo in tutto il mondo. Ancora oggi in moltissime regioni del
pianeta lotte simili a quelle vissute in Europa e Nord America
continuano a opporre tra
loro oppressori e oppressi. E’ ironico pensare che proprio i popoli
delle nazioni occidentali, avendo lungamente lottato per ottenere i
propri diritti, vengano additati adesso quali responsabili almeno in
parte dell’oppressione verso i popoli cosiddetti del "sud del
mondo".
Il
diritto al cibo e al sostentamento
Il
diritto ad una alimentazione adeguata costituisce un diritto umano
fondamentale, sancito con fermezza nel diritto internazionale.
Ciononostante, ogni giorno una persona su 5 soffre la fame, per un
totale di 800 milioni di persone affamate in tutto il mondo, e ogni
anno oltre 20 milioni di persone muoiono di denutrizione e di
malattie ad essa collegate.
Il
diritto al cibo è stato riconosciuto fin dall'adozione della
Dichiarazione Universale dei Diritti Umani nel 1948. Esso è
inscritto nelle costituzioni di oltre 20 paesi, e circa 145 paesi
hanno ratificato il Patto Internazionale sui Diritti Economici,
Sociali e Culturali del 1966, che impone esplicitamente agli Stati
firmatari di legiferare sul diritto a un'alimentazione adeguata. Il
Codice Internazionale di Condotta sul Diritto Umano a
un'Alimentazione Adeguata fu proposto per la prima volta alla vigilia
del Vertice Mondiale sull'Alimentazione del 1996. Esso è largamente
appoggiato dalle organizzazioni non governative che difendono la
causa degli affamati.
La
teoria dei diritti umani contempla due tipi di diritti: quelli la cui
osservanza si realizza semplicemente non intervenendo (negativi) e
quelli la cui attuazione ha bisogno di risorse (positivi). C'è
dunque una netta distinzione tra un'interpretazione ristretta (il
diritto a procurarsi il cibo mediante i propri sforzi senza essere
intralciati) e un'interpretazione ampia (il diritto a ricevere il
cibo quando non si è in grado di procurarselo). L'interpretazione
ampia garantisce una nutrizione adeguata quando il lavoro o la terra
non sono disponibili, e implica dunque l'impiego di risorse per
nutrire gli esseri umani. Numerosi governi non accettano
quest'interpretazione. Anzi alcuni hanno sostenuto che spendere tempo
e denaro per promuovere il diritto al cibo significa sprecare risorse
che sarebbe meglio destinare ai poveri.
Ma
considerare la sicurezza alimentare un diritto aiuta a concentrare
l'attenzione sulle questioni cruciali della responsabilità e della
non-discriminazione, le quali hanno anch'esse il loro fondamento
nella legge. In conclusione, il diritto al cibo è interamente una
faccenda di buon governo e di attenzione per i più poveri e i più
emarginati.
Le
critiche all'ideologia dei diritti umani
Mentre
il marxismo tradizionalmente criticava la tematica dei diritti umani
come espressione di un'ideologia borghese di libertà giuridiche
formali cui non sarebbe concretamente corrisposta una reale
emancipazione degli oppressi e in particolare del proletariato, ma in
pratica aderirà alla varie dichiarazioni universali e regionali dei
diritti dell'uomo del secondo dopoguerra, sono relativamente rari le
correnti e gli autori contemporanei che si oppongono esplicitamente
alla teorica dei diritti dell'uomo in quanto tale.
Tra
i più noti, possono essere citati qui Slavoj Zizek (Contro i diritti
umani, versione originale online Against Human Rights). Stefano Vaj
(Indagine sui diritti dell'uomo. Genealogia di una morale), Pierre
Chassard (Remarques sur le droits de l'homme, Mengal, Bruxelles
2002), Alain de Benoist (Oltre i diritti dell'uomo, versione
originale online Au delà des droits de l'homme), Guillaume Faye (Il
sistema per uccidere i popoli), e Eric Delcroix (I Diritti dell'Uomo
in azione. La deriva della legge e dei giudici verso lo psicoreato).
La
maggiorparte di tali autori negano che diritti soggettivi siano
configurabili anteriormente e a prescindere dagli ordinamenti
giuridici concreti; o criticano l'idea giusnaturalista che
l'espressione legislativa della sovranità, popolare in particolare,
debba essere ristretta ad una funzione notarile rispetto principi
statici, universali e dati "per natura", e perciò
solo da scoprire e confermare, prodotto della cultura giuridica
originale dei singoli popoli, dei rapporti di classe, o
dell'autodeterminazione delle singole comunità; o ancora trovano
ipocrita e fonte di conflittualità internazionale la pretesa di
valutare tutti i sistemi sociopolitici sulla base di criteri
storicamente e politicamente connotati che si presterebbero
facilmente a fare da alibi a politiche imperialiste, specie dal punto
di vista economico-militare.
Legislazione
La
legislazione sui Diritti Umani solitamente prevede:
- diritto alla sicurezza che protegge le persone contro crimini come assassini, massacri, torture e rapimenti
- diritto alla libertà che tutela aree quali la libertà di pensiero e religiosa, la libertà di associazione, di riunione e di costituirsi in movimenti
- diritti politici che tutelano la libertà di partecipare alla vita politica attraverso la libertà di espressione, di protesta, di voto e di assumere cariche pubbliche
- diritti di habeas corpus che proteggono contro abusi da parte del sistema giudiziario quali incarcerazione senza processo, o con cosiddetto processo segreto, o con eccesso di punizione
- diritti di uguaglianza sociale che garantiscono uguale accesso alla cittadinanza, uguaglianza di fronte alla legge e abolizione delle discriminazioni
- diritto al benessere (può prendere anche il nome di diritti economico-sociali) che prevede l'accesso ad un adeguato sistema educativo e la tutela in caso di situazioni di grave disagio o povertà
- diritti collettivi che assicurano la tutela contro genocidi e saccheggio delle risorse naturali.
Scossa
dalla barbarie della Seconda Guerra Mondiale, conflitto durante il
quale era spesso venuta meno l'applicazione della cosiddetta
Convenzione di Ginevra, l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite
promulgò
nel 1948 un importantissimo documento battezzato Dichiarazione
universale dei diritti dell'uomo. Tale Dichiarazione, sebbene non li
obbligasse sotto lo stretto profilo giuridico, tuttavia indicava agli
Stati membri l'urgenza di promuovere un insieme di diritti umani,
civili, economici e sociali, affermando che questi diritti sono parte
delle "fondamenta di libertà, giustizia e pace nel Mondo".
La dichiarazione fu il primo sforzo legale internazionale al fine di
limitare il comportamento oppressivo di taluni Stati. permetteva al
presidente e ai tribunali militari di dichiarare chiunque ‘ nemico
combattente’ privo dei basilari diritti civili quali l’ habeas
corpus.
Molte
Nazioni vorrebbero andare oltre la Dichiarazione Universale e creare
un corpus di leggi che impegni a tutti gli effetti gli Stati della
Terra ad attenersi a norme per la tutela dei Diritti Umani. Questo ha
portato - a causa del disaccordo di alcuni se inserire o meno anche
norme di natura socio-economica - alla preparazione di due trattatti
differenti. Fu così che, nel 1966 e 1976 rispettivamente, la
cosiddetta International Covenant on Civil and Political Rights e la
International Covenant on Economic, Social and Cultural Rights videro
la luce. Assieme alla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo
questi documenti formano l'International bill of rights.
A
partire da quella data numerose altri strumenti di tutela dei Diritti
Umani sono stati introdotti a livello internazionale:
- Convenzione sulla Prevenzione e Punizione dei Crimini di Genocidio del 1951
- Convenzione ONU contro la Tortura del 1984
- Convenzione sull'Eliminazione di Tutte le Forme di Discriminazione Razziale del 1969
- Convenzione sull'Eliminazione di Tutte le Forme di Discriminazione Contro le Donne del 1981
- Convenzione sui Diritti del Fanciullo del 1989
- Statuto di Roma sulle Corti Criminali Internazionali del 2002
Sebbene
poi l'ONU abbia riconosciuto che, ad eccezione dei cosiddetti Diritti
Umani non-derogabili - i quattro più importanti sono il diritto alla
vita, il diritto alla libertà dalla schiavitù, il diritto alla
libertà dalla tortura ed il diritto all'impossibilità della
retroattività dell'azione penale -, alcuni diritti possono essere
posti sotto limitazione o perfino messi da parte durante situazioni
di emergenza nazionale, ha tuttavia chiarito e messo in evidenza che
questo può avvenire esclusivamente a particolari, ristrettissime
condizioni; e cioè, che "l'emergenza debba essere effettiva,
debba coinvolgere l'intera popolazione e a venire messa in pericolo
debba essere l'esistenza stessa della Nazione. La dichiarazione
d'emergenza deve essere posta in essere solo come ultima risorsa, ed
adottata come misura temporanea". Inoltre, la condotta in guerra
è sempre e comunque governata dalla Legge Umanitaria Internazionale.
Tutti
argomenti, questi ultimi, ricordati con viva preoccupazione dalle
organizzazioni umanitarie e di difesa dei Diritti Umani allorquando,
il 17 ottobre del 2006, il presidente degli Stati Uniti George W.
Bush, firmando il Military Commissions Act of 2006 sospende l' Habeas
corpus dai diritti fondamentali del popolo degli Stati Uniti. La
legge permette al presidente e ai tribunali militari di dichiarare
chiunque "nemico combattente", privandolo dei diritti
civili quali l’ habeas corpus.
Corpi Internazionali
La
Convenzione Internationale sui Civili e Politici ha creato
un'agenzia, la Comissione per i Diritti Umani per promuovere
l'applicazione delle proprie norme. I diciotto membri dell'organo
esprimono opinioni riguardanti il se una particolare pratica
costituisca o meno una violazione dei Diritti Umani, sebbene le sue
relazioni non costituiscano vincolo legale.
Una
moderna interpretazione della Dichiarazione dei Diritti Umani è
stata fatta attraverso la Vienna Declaration and Programme of Action,
adottata dalla Conferenza Mondiale sui Diritti Umani del 1993. Il
grado di unanimità circa queste convenzioni, nel senso di quanti e
quali siano i Paesi che le ratificano, varia, così
come varia il grado di rispetto all'interno delle stesse Nazioni.
L'ONU ha messo in piedi un certo numero di organi per sottoporre a
verifica e studio i Diritti Umani, sotto la guida dell'Alto
Commissariato dell'ONU per i Diritti Umani (OHCHR).
Altri corpi internazionali
Un'interpretazione
moderna dell'originale Dichiarazione dei Diritti Umani fu avanzata
nella Dichiarazione di Vienna e relativo Programma d'Azione adottata
dal Conferenza Mondiale sui Diritti Umani del 1993. Il livello di
unanimità su queste convenzioni è piuttosto elevato. Le Nazioni
Unite hanno posto in essere un numero di organi istituiti con accordi
(chiamati treaty bodies) atti a monitorare e controllare i diritti
umani, sotto la direazione delle Alto Commissariato per i Diritti
Umani, a sua volta sotto le Nazioni Unite stesse. I corpi sono
comitati di esperti indipendenti che controllano l'attuazione del
nucleo del trattato internazionale relativo ai diritti umani. Sono
stati creati dallo stesso trattato che devono controllare e tutelare:
- Il Comitato dei Diritti Umani (The Human Rights Committee), che promuove la partecipazione e l'adesione agli standard dello ICCPR. I diciotto membri del comitato esprimono opinioni sugli Stati membri e danno giudizi su reclami individuali contro Stati che non hanno ratificato il trattato. Le opinioni non sono vincolanti giuridicamente.
- Il Comitato sui Diritti Economici, Sociali e Culturali controlla lo ICESCR e rilascia commenti generici sulle operazioni di ratifica dei vari Paesi. Non ha il potere di ricevere reclami o denunce.
- Il Comitato sull'Eliminazione della Discriminazione Razziale controlla il CERD e conduce regolari revisioni e controlli sui lavori dei Paesi in questo ambito. Può giudicare su reclami, ma non in maniera vincolante. Rilascia anche raccomandazioni e preoccupazioni per prevenire serie violazioni della Convenzione.
- Il Comitato sull'Eliminazione della Discriminazione contro le Donne, che monitora il CEDAW. Riceve i dati raccolti dagli Stati sulle loro procedure di ratifica e rilascia commenti a riguardo e può effettuare giudizi su reclami contro gli Stati che hanno aderito nel Protocollo Opzionale del 1999
- Il Comitato contro la Tortura controlla il CAT e riceve dati e risultati dagli Stati sulle loro prestazioni ogni quattro anni rilasciando commenti. Ha poteri ispettivi nei confronti dei vari Paesi, purché abbiano espresso il loro consenso a riguardo.
- Il Comitato sui Diritti del Fanciullo controlla il CRC e fa commenti sui dati forniti dagli Stati ogni 5 anni. Non ha potere di ricevere reclami.
- Il Comitato sui Lavoratori Migranti, stabilito nel 2004 e controlla lo ICRMW facendo anche in questo caso commenti ogni cinque anni. Non ha potere di ricevere reclami di violazioni da parte degli Stati, ma è previsto in futuro possa essere possibile col consenso di 10 Stati membri.
Legislazione Regionale
Esistono
anche numerosi organi regionali che disciplinano i Diritti Umani,
come ad esempio la Corte Europea per i Diritti Umani, l'unica corte
internazionale con competenza a giudicare su casi di violazioni
condotte da individui (piuttosto che da Stati); la Commissione
Africana sui Diritti Umani e dei Popoli; la Commissione
Inter-Americana sui Diritti Umani; la Corte Inter-Americana sui
Diritti Umani; e in Iran il Centro per la Difesa dei Diritti Umani.
Ricerca
a cura di Roberta
Pizzitola, H.R.Y.O. – Human Rights Youth Organization
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