Giuseppe
è il protagonista di questa storia. Questo è un nome di fantasia:
già intimidito dal fatto di dover raccontare la sua esperienza, gli
abbiamo promesso di non menzionare il suo vero nome.
Parlando
un giorno al nostro amico Davide del Laboratorio su “Nonviolenza e
Diritti Umani” e della situazione conflittuale da dover individuare
per l’elaborato finale, ci siamo ritrovati a parlare di Giuseppe e
della sua situazione. Giuseppe è un ragazzo di quindici anni a cui
Davide impartisce lezioni di matematica. Tra i due vi è una vera e
propria amicizia che ha spinto il ragazzo a confidarsi con il suo
insegnante su alcune vicende verificatesi a scuola, vicende che
possono senz’altro interpretarsi alla luce di quel fenomeno
chiamato Bullismo. Abbiamo così deciso di affrontare tale
problematica conflittuale, oggi tanto diffusa nelle scuole italiane e
non solo, attraverso la vicenda di questo quindicenne.
Giuseppe
frequenta l’Istituto Tecnico Commerciale “Vilfredo Pareto”
di Palermo. Ha appena concluso il secondo anno. In un incontro avuto
con lui, ci ha raccontato di come un gruppetto di ragazzi più grandi
lo abbia infastidito, più volte e in diverse modalità, nel corso di
quest’anno. In primo luogo, è stato più volte deriso e preso in
giro: ogni volta che passava - racconta - si voltavano verso di lui
sorridendo e ridacchiando; spesso lo prendevano in giro apertamente
rivolgendogli soprannomi offensivi o, comunque, espressi in tono
maligno, come quello di “tonno rio mare”. Alla domanda su come
reagisse a questi atteggiamenti, Giuseppe ci ha detto di come a volte
sia rimasto in silenzio e, altre volte, abbia invece tentato di
reagire rispondendo a tono: cosa per lui molto difficile, essendoci
sembrato un ragazzo timido ed introverso. Tra l’altro, la cosa che
più ci ha colpito è il fatto che, secondo il racconto di Giuseppe,
questi episodi di “sfottò” si verificano quotidianamente a
scuola e, per i ragazzi, rientrano nella normalità: «Queste cose
sono normali. Del resto non ero l’unico ad essere stato preso di
mira!». Tuttavia, Giuseppe non si sarebbe mai aspettato che dal
“semplice sfottò” si sarebbe passati a qualcosa di più grave.
All’inizio di maggio si è verificato un episodio spiacevole.
Durante l’ora di ricreazione, Giuseppe va in bagno. Bussa alla
prima porta chiusa, e si sente rispondere che è occupato. Stessa
scena davanti alla seconda porta. Al terzo tentativo, però, non c’è
una voce che lo invita a provare altrove. C’è, invece, uno di quei
ragazzi che spalanca di colpo la porta e comincia a colpire Giuseppe:
due calci ravvicinati colpiscono la sua mano sinistra. Intanto si
aprono le altre porte ed escono ridendo gli altri componenti del
gruppo. Giuseppe comincia ad urlare dal dolore, i ragazzi scappano e
a quel punto accorre il bidello per capire cosa sta succedendo. Di lì
a poco vengono avvertiti i genitori di Giuseppe, che si recano a
scuola e portano il figlio al pronto soccorso di Villa Sofia. La
prognosi del medico è stata la seguente: 15 giorni di gesso per
trauma, da tenere sotto il controllo di un ortopedico.
Giuseppe
è rimasto chiaramente scioccato da questo episodio. È molto seccato
del fatto che a scuola l’accaduto sia stato spiegato come un
semplice incidente, ma, del resto, lui non ha voluto raccontare come
siano andate veramente le cose. È, inoltre, deluso dal fatto che, a
parte due ragazzi di cui è amico, nessun altro dei compagni si sia
fatto vivo per sapere come sta. Del resto, ci ha detto, la maggior
parte di loro ha sempre fatto finta di niente, e alcuni sembravano
persino divertirsi durante le varie “prese in giro”. Il risultato
è che Giuseppe ha chiesto ai suoi genitori di cambiare scuola per il
prossimo anno.
Dalla
vicenda di Giuseppe possiamo estrapolare i seguenti punti:
- Giuseppe è un ragazzo tranquillo, timido e un po’ insicuro: per quel gruppo di ragazzi è stato facile sceglierlo come bersaglio delle loro angherie.;
- G. è stato vittima di violenza psicologica: l’essere continuo oggetto di sorrisetti e risatine, l’essere preso in giro è motivo di grande sofferenza per un adoloscente;
- G. è stato vittima di violenza fisica.
- La reazione di G. è stata a volte il silenzio, a volte la rabbia, dimostrando in ogni caso di essere turbato dagli attacchi del gruppetto.
- G. non si è mai confidato con gli adulti (genitori o insegnanti) per paura che il gruppetto potesse bersagliarlo ancora di più per ripicca e, forse, anche per vergogna della propria debolezza, dell’essere incapace di farsi valere.
- Gli altri ragazzi della scuola hanno, in generale, mostrato indifferenza, probabilmente spinti dalla paura che quei ragazzi potessero prendersela anche con loro.
Tali
punti ci riconducono senz’altro al fenomeno Bullismo, la cui
definizione è: “un’oppressione,
psicologica o fisica, ripetuta e continuata nel tempo, perpetuata da
una persona (bullo) o da un gruppo di persone più potente nei
confronti di una persona percepita più debole (vittima)”.
Contro
questa problematica conflittuale, che riguarda Giuseppe come molti
altri ragazzi, è possibile contrapporre una soluzione
nonviolenta. Per fare ciò è
importante che ad agire attivamente siano tutte le parti coinvolte,
ovvero:
- la “vittima”, nel nostro caso Giuseppe
- gli “spettatori”, ovvero quella maggioranza silenziosa di studenti che assistono agli episodi di oppressione
- la famiglia
- la scuola
Per
la vittima:
- Il bullo si diverte quando reagisci. Se ti provoca, fai finta di niente e allontanati. Cerca di mantenere la calma, non farti vedere spaventato o triste. Senza la tua reazione il bullo si annoierà e ti lascerà stare.
- Cerca di far capire al bullo che non hai paura di lui e che sei più intelligente e spiritoso. Così lo metterai in imbarazzo e ti lascerà stare.
- Molte volte il bullo ti provoca quando sei da solo. Durante la ricreazione stai vicino agli altri compagni o agli adulti; utilizza i bagni quando ci sono altre persone.
- Confidati con gli adulti, genitori e insegnanti. Non puoi sempre affrontare le cose da solo!
Per
il ragazzo “spettatore”:
- se sai che qualcuno subisce prepotenze, dillo subito ad un adulto.
- Cerca di superare la paura e pensa che potresti essere tu al suo posto: saresti felice se qualcuno ti aiutasse.
Per
i genitori:
- Imparare a cogliere i segnali che i figli possono nascondere, cercando di mostrare comprensione.
- Ascoltare attentamente i figli e non colpevolizzarli.
- Farsi raccontare dettagliatamente l’accaduto per un’eventuale denuncia.
- Mettere a corrente la scuola.
Per gli insegnanti:
Può essere utile far compilare agli alunni un questionario e organizzare una giornata di dibattito e incontri fra genitori e insegnanti. Ciò è importante per capire le dimensioni del fenomeno.
Una migliore attività di controllo durante la ricreazione metterebbe al sicuro le potenziali vittime. Sono questi i momenti in cui la maggior parte dei bulli agisce indisturbata.
Si possono istituire "cassette delle prepotenze" dove lasciare dei biglietti con su scritto quello che succede.
In classe, tutti insieme, si possono individuare poche e semplici regole di comportamento contro il bullismo. Le regole devono essere esposte in modo ben visibile e tutti devono impegnarsi a rispettarle.
Il silenzio e la segretezza sono potenti alleati dei bulli. È importante abituare i ragazzi a raccontare ciò che accade e a non nascondere la verità.
Se
l'insegnante individua un bullo o
una vittima, per aiutarlo è necessario parlare subito con lui di ciò
che gli accade.
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a cura di Daniela Balistreri, Donato Dell'Orzo, Alessandra Ferrara,
H.R.Y.O. – Human Rights Youth Organization
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